Design come nuovi comportamenti: dall’azione estetica di Filiberto Menna al Critical Design
Abstract
Il saggio indaga gli sviluppi del tema proposto da Filiberto Menna sul ruolo del design come “collante” della frattura tra fare-estetico e fare-tecnico patito dalla società della fine degli anni ’60. Nel saggio edito nel catalogo della mostra del 1972 di New York, Menna, sottolineando la necessità di rendere più volontaria un’azione estetica da ricondurre al progetto, argomentava tra i primi la rigenerante possibilità degli oggetti di poter intervenire nella formazione degli individui grazie a un’esperienza estetica (psichica e percettiva) collettiva, e apriva al tema dell’uso del design per istruire e liberare i comportamenti degli individui, e non più per “trasformare l’uomo a sua insaputa” (Menna, 1972).
Tale apertura del critico campano, nelle pagine che seguono, vuole essere agganciata ad alcuni traguardi teorici del Critical Design contemporaneo, inteso come progettazione alternativa in forma critica che “si posiziona come una forma di ricerca sociale che integra l’esperienza estetica con la vita quotidiana attraverso prodotti concettuali” (Malpass, 2017: 46). Tenendo come confronto il recente studio di Matt Malpass, secondo il quale il design critico è oggi un progetto che va oltre l’ottimizzazione del prodotto e utilizza molte forme di estraniamento e di de-familiarizzazione per aprire uno spazio diverso tra utente e oggetto, il saggio indaga l’attuale stato della direzione avviata dalla proposta di Menna di un design per nuovi comportamenti, centrato su una matrice di azione estetica “concentrata e coagulata in nuclei più densi, riservati a funzioni in qualche misura da ritenersi privilegiate, più cariche di significato” (Menna, 1972: 413).
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