Dal telecomando alla città: design e televisione dalle origini a oggi
Abstract
Estendendo il suo raggio d’azione dal telecomando alla città, per parafrasare il noto motto di Ernesto N. Rogers, nel secolo scorso l’universo televisivo ha rappresentato uno straordinario ambito d’indagine per la cultura del progetto, secondo percorsi plurimi e complessi. Riferendoci, con ampia licenza, alle definizioni di Erwin Panofsky (Die Perspektive als symbolische Form, 1927) e di Raymond Williams (Television: Technology and Cultural Form, 1974), la televisione può infatti essere intesa come una fondamentale “forma simbolica” del secolo scorso, che proprio nel nuovo millennio — all’epoca delle sue ibridazioni digitali — sembra finalmente offrirsi per una matura analisi critica anche da parte della storia del design. La misura di una sempre maggiore “storicizzazione” del fenomeno televisivo è del resto evidente in molti campi: uno per tutti quello dell’arte contemporanea, nel passaggio della TV da mezzo espressivo a memoria retrospettiva, ad esempio come espressa nella mostra “TV 70: Francesco Vezzoli guarda la RAI” alla Fondazione Prada di Milano, del 2017.
Nel corso del Novecento, infiniti pensatori hanno ragionato sulle conseguenze della struttura, della forma e del funzionamento della televisione. Gli studi di Marshall McLuhan, Umberto Eco, Harry Y. Skornia, Joshua Meyrowitz, Jean Baudrillard, Hans M. Enzensberger, Neil Postman, Jerry Mander, Karl Popper, Jean-Louis Missika, Dominique Wolton e Nicholas Negroponte, solo per citare alcuni nomi, hanno messo chiaramente in luce le conseguenze percettive, culturali, sociali, politiche, ideologiche e identitarie di una scatola magica che da medium è divenuta molto altro. In continuità o per contrasto, anche negli ultimi decenni millennio sono fioriti gli studi sul tema, spesso ibridandosi con la new media history and theory.
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