The Glass House on TV and as TV

Parole chiave: Glass House, Philip Johnson, American house, media and architecture, transparency

Abstract

Questo saggio esplora l’intersezione di due sogni fondamentali del XX secolo: la casa di vetro e la televisione, contestualizzati attraverso una lettura insolita della Glass House di Philip Johnson. Costruita nel 1949, la Glass House rappresenta l’apice della trasparenza in architettura, radicata nelle visioni utopiche di Paul Scheerbart, Bruno Taut e Mies van der Rohe. Il design di Johnson trascende l’architettura tradizionale, presentando la casa come un’immagine, un “sogno in forma fisica”, che offre un senso di chiusura pur mettendo in discussione la nozione di apertura.

Pur evitando le tecnologie mediatiche come la televisione al suo interno, la stessa Glass House ha operato come un mezzo di trasmissione, servendo da piattaforma per l’immagine pubblica di Johnson e per la sua sperimentazione architettonica. Vista metaforicamente come una “zattera”, la casa concilia il contenimento spaziale con un senso di distacco fluttuante, riecheggiando l’orizzontalità della Farnsworth House di Mies e creando al contempo un’intima connessione con il paesaggio circostante.
La Glass House riflette anche l’ascesa della televisione come mezzo integrato nelle case americane della metà del secolo, sebbene la creazione di Johnson resistesse attivamente all’integrazione tecnologica. Diventando un palcoscenico per apparizioni mediatiche, mostre e discussioni, la Glass House esemplifica una dualità: è sia un laboratorio architettonico che un reality show, trasmettendo perpetuamente l’eredità dell’architetto. Questo saggio colloca la Glass House al crocevia tra architettura modernista, design, cultura dei media e autorappresentazione.

Pubblicato
2025-03-10