Inhabiting Television
Abstract
La televisione è emersa tra l’avvento della radio e quello di internet, sfidando l’architettura a ridefinirsi. Pionieri come Ivan Leonidov e Buckminster Fuller concepirono la televisione non solo come un mezzo di comunicazione, ma come un componente integrale dell’architettura, capace di dissolvere le forme urbane tradizionali in una connessione planetaria. La 4D House di Fuller, un’abitazione polemicamente autonoma e trasportabile, dotata di unità integrate per la trasmissione e la ricezione, rappresentava infatti il passaggio dalle connessioni fisiche a quelle elettroniche, anticipando la fine dell’architettura statica e dell’educazione centralizzata. Secondo Fuller, la televisione avrebbe trasformato gli edifici in partecipanti attivi di un sistema globale di informazione, dando vita a un nuovo ordine sociale post-politico.
Mentre Fuller vedeva nella televisione una forza democratizzante, Reyner Banham metteva invece in guardia contro il rischio che essa rafforzasse le élite. L’ottimismo di Fuller si estendeva a concetti come il Geoscope, uno schermo televisivo sferico globale in grado di visualizzare dati planetari in tempo reale per decisioni collettive. Per Fuller, la televisione non rappresentava il futuro, ma un’estensione della capacità intrinseca dell’umanità di elaborare e proiettare informazioni, simile al “televisore omnidirezionale” del cervello.
Questo saggio traccia il ruolo evolutivo della televisione nel pensiero architettonico, dalla sua promessa utopica alla sua obsolescenza nell’era dei cellulari, evidenziando come essa abbia ridefinito l’architettura, dissolvendo confini e diventando il fondamento di un nuovo mondo interconnesso.
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