Scodeller: Storia, scuola e politica in Italia nel XXI secolo / Aspettando il IV convegno AIS/Design

I fatti sono noti. Agenti della DIGOS si recano presso l’Istituto tecnico Industriale Vittorio Emanuele III di Palermo e interrogano alcuni studenti che hanno elaborato, in occasione della Giornata della memoria, un lavoro storico – sintetizzato in un PPT commentato dalle loro voci – che compara la situazione europea del 1938 con quella attuale. Poiché, in una delle slide, la prima pagina del “Corriere della sera” dell’11 novembre 1938, che annuncia la promulgazione delle leggi razziali, viene messa a confronto con un’immagine dell’attuale Ministro dell’interno che annuncia il decreto Sicurezza e immigrazione, su disposizione dell’Ufficio scolastico provinciale di Palermo, la loro insegnante di storia e letteratura, Rosa Maria dell’Aria, viene sospesa per 15 giorni per “mancato controllo”. Dunque un provvedimento disciplinare che si pone contro la storia, il fare storia, il modo in cui si fa storia.

Va detto, per inciso, che gli studenti si sono assunti la responsabilità del documento e la loro insegnante (con 40 anni di scuola sulle spalle) ha spiegato che sarebbe stato lesivo dell’educazione alla libertà di pensiero e opinione se lei avesse censurato il lavoro degli studenti, visto che il commento all’immagine da loro proposta era una descrizione oggettiva dei contenuti della legge.
Ma, nella Società dello spettacolo, come direbbe Guy Debord, sappiamo che l’immagine (la forma) ha spesso più valore e impatto del contenuto.

Siccome l’accesso alle fonti primarie facilita – come noi storici sappiamo – la comprensione dei fatti, ora che il lavoro realizzato dagli studenti – pubblicato dall’ex Presidente del Senato Pietro Grasso e ripreso dall’ANSA https://www.facebook.com/watch/?v=369592720332327 – può essere consultato in rete e che ciascuno di noi come cittadino può esaminarne i contenuti e constatarne il valore educativo, rimane aperta una questione sul ruolo della storia che non può sfuggire alla nostra sensibilità e sollecitare, come Associazione di storici, alcune riflessioni, anche in vista del nostro Convegno di Torino del prossimo giugno dedicato a Design, politica e democrazia in Italia nel XX secolo. https://www.aisdesign.org/aisd/news/italia-design-politica-democrazia-nel-xx-secolo

Riflessioni che pare urgente compiere non solo a difesa della libertà d’insegnamento, ma a sostegno di un doppio principio che dovremmo, come storici, avere particolarmente a cuore: il primo riguarda la formazione, attraverso lo studio della storia, di una coscienza civica, il secondo concerne la libertà di giudizio storico, poiché ogni lavoro d’indagine storica è sempre un lavoro di analisi critica della realtà.
In un momento in cui, da più parti, si è sollevata la protesta contro l’eliminazione della traccia tematica di storia nell’esame di maturità, che sia oggi una classe di studenti di un Istituto tecnico palermitano a ricordarci l’importanza di questo doppio valore della ricerca storica, pare ancor più significativo.

Poniamoci allora il problema in questi termini: non se gli esiti del lavoro comparativo compiuto dagli studenti, nell’assoluta autonomia sperimentale di un lavoro scolastico, siano o meno condivisibili, ma se la metodologia da essi adottata sia efficace per analizzare, in una prospettiva storica, una relazione tra fatti di ottant’anni fa e fatti attuali.

«Le passé ne sert qu’à connaitre l’actualité, me l’actualité m’echappe. Qu’est que c’est donq l’actualité?» sentenziava problematicamente il celebre storico dell’arte Henry Focillon. Se il passato serve a conoscere il presente, ma il presente ci sfugge, in che cosa consiste l’attualità del tempo che stiamo vivendo? Qual è la sua contemporaneità – diremmo noi – ovvero, di quale tempo siamo contemporanei? A chi assomigliamo? Questa la domanda che sembrano essersi posti – con atteggiamento antiretorico – gli studenti palermitani i quali, più che su un problema di contemporaneità della storia, si sono interrogati sulla presenza, sull’attualità del passato.
Si tratta di due prospettive storiografiche di notevole interesse.
Dobbiamo, com’è noto, a Benedetto Croce la formulazione della tesi sulla contemporaneità della storia: per quanto sia lontano il passato che analizziamo, non possiamo che fare storia contemporanea, poiché analizziamo i fatti storici con gli strumenti e i condizionamenti della cultura nella quale siamo immersi. Si fa storia, in definitiva, per un bisogno di conoscenza del presente, per rispondere a problemi che assillano l’oggi. (Croce, 1916)

Walter Benjamin non era lontano da questa prospettiva quando parlava del metodo storico come di un’“indagine onirica”. La storia dei rapporti di produzione capitalista – affermava Benjamin nei Passages – «è fatta sì dagli uomini, ma senza coscienza né progetto, come in sogno» così che, la conseguente applicazione al XIX secolo di un modello d’indagine onirica permetteva d’intercettare quelle forze ancora attive dell’inconscio collettivo che, superati i confini storici del secolo precedente, erano arrivate al presente a lui contemporaneo: gli anni trenta del Novecento.
Quest’opera di “interpretazione dei sogni”, a cui, come storico, Benjamin si sentiva chiamato, gli suggerì l’immersione «in ambiti della storia fino ad allora trascurati, disprezzati, per riportarne in superficie ciò che prima di lui nessuno aveva ancora visto». (Tiedermann, 2002)
Das Passagen-Werk sarebbero dunque da intendersi come materiale rimosso dell’Ottocento che lo storico riporta alla luce. Qual è, potremmo chiederci allora, in questa prospettiva psicoanalitica, il materiale rimosso del Novecento che, come storici, dovremmo cercare di riportare alla luce in modo che non alimenti la “coazione a ripetere”?

La tesi sulla contemporaneità della storia ha avuto, dopo la morte di Croce, anche prese di distanza critiche, soprattutto in ambito storico-artistico. Diamo troppo spesso per scontato l’ambiguo concetto idealistico della contemporaneità della storia – rifletteva lo storico dell’arte Giovanni Previtali – deprecando l’attitudine di Longhi a usare come metro di giudizio di qualità estetica un’epoca ottimale. (Previtali, 1982)
Questione che per Gianfranco Contini aveva, sul piano filologico, una rilevanza di tipo scientifico-metodologico: «La filologia – scriveva Contini – come disciplina storica si rivela sempre più acutamente involta, non si dirà nell’aporia, ma nella contraddizione costitutiva di ogni disciplina storica. Per un lato essa è ricostruzione o costruzione di un passato e sancisce, anzi introduce una distanza tra l’osservatore e l’oggetto; per un altro verso, conforme alla sentenza crociana che ogni storia sia storia contemporanea, essa ripropone o propone la “presenza” dell’oggetto. La filologia moderna vive, non di necessità inconsciamente, questo problematismo essenziale». (Contini, 1977)

Ma la storiografia, come modo di pensare la storia, non è mutata solo a causa del cambiamento di prospettive filosofiche, ma anche in conseguenza di trasformazioni che hanno messo in dubbio la centralità della cultura accademica (il ’68) e la centralità della cultura europea: una delle più influenti è la prospettiva storica (post)coloniale.
Se ne accorsero per primi gli storici francesi degli Annales quando, agli inizi degli anni settanta del Novecento (quando il direttore era Jacque le Goff) iniziarono a dibattere con storici turchi o mediorientali, i quali facevano loro notare come la storia delle Crociate fosse viziata da una prospettiva “leggermente” eurocentrica.
Il nostro giudizio storico è pertanto doppiamente condizionato culturalmente, sia in senso temporale (dal presente verso il passato), sia in senso geografico (dall’Occidente industrializzato verso gli altri mondi). Risulta sempre più evidente, anche nell’ambito della Storia del design, come la “nostra” storia assomigli sempre di più a una costruzione retorica formulata ad uso (e consumo) di un modello economico dominante.

Se, dunque, neppure un filologo della statura di Contini ha potuto risolvere la contraddizione insita nel metodo storico, tra “distanza” e “presenza” dell’oggetto, possiamo condividere la bontà del metodo comparativo con gli studenti palermitani e la loro insegnante, i quali inoltre – avvantaggiati forse da una prospettiva mediterranea – sembrano più liberi nel formulare un confronto critico tra “Secolo breve” ed eventi attuali.
Quale sarebbe la “giusta distanza” rispetto ai fatti di ottant’anni fa – ci chiediamo – e chi è in grado di suggerire un metodo storico efficace che rinunci a un procedimento criticamente comparativo? E ancora, il “rimosso” del 1938 va lasciato fermentare nell’inconscio nazionale o va riportato alla luce nella coscienza civica? E il design e i suoi storici possono “chiamarsi fuori” da queste riflessioni, possono rimanere indifferenti alle chiavi di lettura che mettono in relazione politica e società?
Come avremo modo di ascoltare nel nostro Convegno AIS/Design di Torino del 28 e 29 giugno, Italia. Design, politica e democrazia nel XX secolo, si tratta di questioni tutt’altro che trascurabili anche per la storia del design italiano, dominato ancora da due ampie aree di “rimosso”: una gravante su uno dei suoi periodi fondativi (gli anni trenta del Novecento) e l’altra relativo alla costruzione retorica delle narrazioni delle vicende a cavallo tra anni sessanta e settanta, tema a cui è dedicata anche la tavola rotonda conclusiva.

Dario Scodeller, maggio 2019


Croce, B. (1916). Teoria e storia della storiografia, Bari.

Tiedermann, R. (2002). Introduzione, in W. Benjamin, I passages di Parigi, Torino, pp. IX–XIV

Previtali, G. (1982). Roberto Longhi, profilo biografico, in G. Previtali (a cura di), L’arte di scrivere sull’arte, Roberto Longhi nella cultura del nostro tempo, Roma.

Contini, G. (1977). Voce Filologia, Enciclopedia del Novecento, Roma, pp. 954-972.