Tomás Maldonado è un intellettuale che ha operato in molti campi. È stato un artista protagonista dell’arte concreta nella Buenos Aires degli anni ’50 del secolo scorso e, negli ultimi anni, aveva ripreso coerentemente quel percorso pittorico; un educatore che ha insegnato nelle più prestigiose università, ha innovato modelli formativi, ha rinnovato singoli statuti disciplinari e ha creato vere e proprie istituzioni didattiche; un filosofo che si è confrontato autorevolmente su temi come la modernità e la cultura tecnica; un designer e, più in generale, un progettista e un teorico della progettazione che ha lasciato opere e scritti imprescindibili. Ha affrontato con rigore e profondità ciascuno di questi ambiti ma, soprattutto, ha saputo considerarli come diversi strumenti e punti di vista con cui affrontare le complesse questioni della contemporaneità e lo ha fatto intrecciando sempre passione civile, lungimirante capacità di anticipazione e tenace volontà di radicare innovazioni ed esperimenti in un quadro istituzionale.
Quest’ultima peculiarità lo ha portato a partecipare ad alcune delle esperienze didattiche più innovative e sperimentali, alcune delle quali sono divenute poi modelli di riferimento per percorsi formativi a livello internazionale. In Germania è stato tra i fondatori della Hochschule für Gestaltung Ulm inaugurata il 2 ottobre 1955, l’ha diretta e ne ha ispirato filosofia educativa e contenuti introducendo in ambito accademico discipline allo stato nascente come la cibernetica, la teoria dell’informazione, la teoria dei sistemi, la semiotica, l’ergonomia, la filosofia della scienza, la logica matematica e persino alcuni elementi basilari della geometria frattale. In Italia è stato, negli anni ’70, tra gli iniziatori del DAMS all’Università di Bologna e, in seguito, del corso di laurea in Disegno industriale al Politecnico di Milano, dopo aver contribuito a introdurre questo nuovo percorso formativo nel sistema universitario italiano.
Il suo interesse per il Disegno industriale peraltro risale molto indietro nel tempo. Nel 1949 il Centro degli studenti di Architettura di Buenos Aires pubblicò l’articolo di un esponente di rilievo delle avanguardie artistiche — Maldonado appunto — dal titolo El diseño y la vida social, che rappresenta il primo documento in cui si parla di disegno industriale in America Latina. Un prologo al suo straordinario contributo in questo campo come docente, progettista (si pensi, per esempio, ai suoi lavori per l’industria elettromedicale, per quella degli strumenti di misura e delle attrezzature d’ufficio, delle macchine di cantiere, della grande distribuzione, al sistema di comunicazione, interfacce si direbbe oggi, del calcolatore Elea dell’Olivetti), teorico a cui si devono la definizione di Disegno industriale accolta nel 1961 dall’ICSID, che conserva ancora oggi la sua sostanziale validità, e alcuni degli scritti fondativi della disciplina.
Quanto al suo impegno civile e alla sua capacità di anticipare temi che poi sarebbero diventati prioritari nel dibattito culturale e politico, uno degli esempi più lampanti è il suo interesse precoce per la questione ambientale. Nel 1970 pubblica in Italia La speranza progettuale con il significativo sottotitolo Ambiente e società. Questo libro, immediatamente tradotto in spagnolo, inglese, francese e tedesco, era stato preceduto da due testi che ne costituivano un’anticipazione: Noi e il mondo delle merci, pubblicato nel 1965 nella rivista «Ulm» e Verso una progettazione ambientale, apparso l’anno seguente sulla rivista «Summa». Qui però il tema veniva affrontato con maggiore consapevolezza delle sue molteplici implicazioni scientifiche, sociali, politiche ed economiche. Prendeva infatti le distanze sia dall’allarmismo strumentale del President’s State of the Union Message del 22 gennaio 1970 dell’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, sia dalla sottovalutazione del problema da parte della sinistra europea. Tra l’altro segnalava già allora un problema come quello dell’aumento incontrollato della “popolazione dei rifiuti” ancora oggi di drammatica attualità. La sua proposta, oggettivamente controcorrente, era il rifiuto di un atteggiamento rinunciatario che fa della complessità dei problemi ambientali un alibi per non agire e la scelta di affidarsi agli strumenti del progetto. La “speranza progettuale”, una parola d’ordine impegnativa e un programma da impostare, valutare criticamente e adattare ai mutamenti della realtà senza illusioni ma con tenacia e perseveranza.
(Medardo Chiapponi, pubblicato su “Il giornale dell’Architetura”, 158, 2018)